CARAMIA

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propongo che nella ricerca di una testa di ponte tra i princìpi fondamentali si risalga ai primordi del pensiero scientifico e filosofico; certamente a un periodo anteriore alla scissione di scienza, filosofia e religione in attività distinte, separatamente coltivate da specialisti di discipline separate.

Gregory Bateson, “Verso un’ecologia della mente

 

C’è e ci deve essere quella sottile linea rossa che è conduttrice di processi, e che dalle aggregazioni più piccole e intime della natura, porta a noi. Magari è sempre la stessa, ha solo messo un vestito nuovo, probabilmente quello della tecnologia.Ma se è vero che l’architettura si è sviluppata grazie alla tecnologia ed ai supporti informatici, questo sviluppo risulta tutto sommato fermo. I modelli di edifici digitalizzati, come ad esempio la Galleria Hall West di Van Berkel o lo stadio Allianz di Herzog & de Meuron, direzionano la tecnologia verso forme di comunicazione che avvengono tramite la pelle degli edifici stessi. I pannelli in facciata, producono informazioni quali la densità di visitatori o le condizioni climatiche, mentre i colori delle squadre di calcio, rivestono la superficie dello stadio. Tramite la tecnologia, una città può diventare smart, la comunicazione viaggiare a diversi livelli e diverse scale, ma rimane pur sempre sterile nell’evoluzione della forma. Possiamo dire che si sviluppa principalmente e solo, nella terza dimensione. Non c’è una vera interazione, tra comunicare un’informazione e prenderne atto, come non c’è tra guardare la tv mentre trasmette il telegiornale. Il passo che ci spinge oltre è quello della trasformazione, non più sterile informazione trasmessa da una superficie, ma la ricerca di una nuova dimensione riposta nelle potenzialità della tecnologia. La bioarchitettura integrata alle ultime innovazioni tecnologiche, può attuare una trasformazione nella forma stessa dell’edificio, tale da generare un organismo vivente che non sia solo un simbolo evocativo della natura. La sua pelle e la struttura potrebbero modificarsi a seconda delle condizione atmosferiche e il sole, il vento e l’acqua trasformati in nuova energia, ma non come applicazioni posticce ad un volume già definito, bensì come materia stessa e dimensione della forma. Un essere vivente autosufficiente e intelligente., in continua evoluzione, che assume modificazione attraverso il tempo, quindi nella quarta dimensione.

L’architettura ha le potenzialità di fare del tempo spazio e dello spazio tempo. Sviluppare la forza dell’immaginazione creativa e sondare la crisi (…) lo strumento che permette di affrontare questa crisi (…) è appunto quello informatico.

A.Saggio, “Architettura e Modernità”

La scoperta di spazi sempre “nuovi” deriva comunque da matrici antiche. E’ l’arte “del levare”, non quella “del mettere” che aiuta a definire l’essenza delle cose, ma probabilmente non basta amplificare di scala un modulo, ma fare di esso una catena, in modo da creare una successione di informazioni che possano rendere autonoma una forma, e far diventare viva una costruzione. Far si che l’architettura diventi organismo. La tecnologia quindi, diventa elemento primitivo, come può esserlo uno dei caratteri costituenti il DNA . E’ perciò un processo evolutivo naturale, che si avvale dell’era informatica per diventare intelligente. Il guardare oltre la materia era la filosofia di Michelangelo, che intravedeva nella pietra informe il contenuto della sua scultura, lo stesso andare oltre di Lucio Fontana, che con un taglio definisce lo spazio al di là della tela. Lo spazio viene indagato in maniere diverse, ma con l’unica volontà di carpire da sesso la potenzialità della comunicazione. Con i Micromegas, Libeskind sviluppa una sorta di linguaggio intelligente che rende visibile uno spazio immaginario. Le linee diventano un indagatore grafico, attraverso le quali infiniti volumi possono essere creati. Ma se in Libeskind lo spazio è esplorato ancora in maniera bidimensionale, tramite la proiezione di forme su un foglio di carta, in Fontana la barriera attraverso cui l’immaginazione si proietta, viene oltrepassata. In lui non ci sono più spazi immaginati che pendono vita dal disegno. Siamo nella terza dimensione. Attualmente, l’informatica ed il computer, potrebbero porsi al di là di una gestione tridimensionale dell’informazione, non limitandosi a dare alla superficie un ruolo di sola comunicazione, o creando volumi non convenzionali. Tramite le nuove tecnologie rivolte verso la bioarchitettura, l’azione sarebbe quella di Fontana, un guardare oltre, che si traduce in una modificazione dello spazio in funzione delle variabili temporali, viaggiando in quella che potrebbe essere definita, la Quarta Dimensione dell’architettura.

Image          Image“Schiavo Atlantide”, Michelangelo 1525-1530 circa; “Micromegas” D. Libeskind
Image                                                 “Concetto spaziale” L. Fontana

“Pensare confonde le idee”

 

I cassetti sono le tasche dei mobili e le tasche soni i cassetti dei vestiti. Talvolta cerchi qualcosa in un cassetto e invece è in un’altra tasca. Alcuni cassetti sono tenuti molto in ordine la roba delle tasche va dove vuole.”

 

Bruno Munari, Pensare confonde le idee, Corriani editore, Mantova 1998.

“Archetipi di un’architettura ritrovata. Ovvero, la forma primigenia del luogo”

Ciò che emerge dall’eredità di Anselmi è la continua ricerca di un’umanità nelle sue architetture. Tutte le tracce che provengono dal paesaggio già costruito, si innalzano dal suolo come modificazione della crosta terrestre, ridisegnando un nuovo spazio tridimensionale. Come un essere umano dotato di grande sensibilità, il nuovo volume prende posizione senza aggredire, conosce già il territorio in cui entrerà a far parte e ne rispetta le tracce, dalle quali trae un’assoluta forza. Al tempo stesso manifesta la propria personalità, disponendosi saggiamente con un susseguirsi di pieni e vuoti creati da un piano che li modella, e che li riporta a quella conformazione di città dalla quale provengono. La Provenienza è il punto dal quale Anselmi parte. Il Luogo, l’oggetto della sperimentazione:

 “… non riesco a immaginare un’architettura al di fuori di un luogo. Anche le architetture che non ho costruito nascono da un luogo, da una situazione reale. Devo partire da un luogo, da una mappa e da un programma, per mettere in moto l’immaginazione. Non ho modelli astratti e, di conseguenza, quando questi luoghi sono all’interno della città nasce il tema della scena urbana.”

A.Anselmi

 ( Guccione M., 2004, intervista a Alessandro Aanselmi, Roma )

 Il luogo, quindi , diventa forma primitiva di ispirazione, diventa l’archetipo del Se Junghiano, dal quale scaturiscono tutti gli altri. Il suo approccio, notoriamente di tipo urbano derivante delle sperimentazioni del G.R.A.U., parte dall’analisi delle stratificazioni e dallo sviluppo quasi naturale della città e delle sue esigenze. Le sue architetture arrivano a creare delle correlazioni con l’esistente, in modo che nulla sia imposto nello spazio, proprio perchè tutto nasce dagli archetipi, da quegli elementi che resistendo al tempo, tramandano concetti sempre attuali e che ormai sono diventati logos. E’ evidente come nel cimitero di Parabita, che questa attenzione all’archetipo, vissuto come elemento storico, fosse presente già nei primi lavori. Progettato assieme a Paola Chiatante nel 1972, il disegno della pianta si sviluppa sotto forma di capitello corinzio. Riportato ad una scala più ampia e scollegato da quella dimensione di elemento architettonico, diventa esso stesso architettura, come per celebrare quei luoghi che furono la Magna Grecia e che quei capitelli ricordano bene. Un progetto che è come un solco sul terreno, un disegno in estrusione, come un tatuaggio fatto per ricordare o tenere sempre presente alla mente qualcosa di importante. La stessa funzione che assume il cimitero, se ci pensiamo: il ricordo. E’ un’architettura fatta di azioni che definiscono degli spazi intimi, prospetticamente articolati, fatti di una materia che anch’essa porta memoria perchè calcarea, frutto della gestazione della terra e della stratificazione del tempo. Nel cimitero di Parabita, possiamo riconoscere alcuni dei suoi temi ricorrenti, come quello del recinto e del frammento, anche questi assimilabili ad archetipi personali, che lui esplorerà a fondo nei lavori futuri.

 “…a Parabita, vi è un recinto, all’interno del quale vi sono dei frammenti e una porzione di questi è organizzata secondo una prospettiva. Non c’è contraddizione. Ma il recinto e i frammenti comportano un’altra problematica, quella dell’icona e dell’archetipo, che rimanda a significati che non è detto che siano necessariamente architettonici, oppure, per esempio, ai significati del recinto archeologico, come nel caso dell’asilo a Santa Severina: all’interno di un cortile ci sono dei frammenti che rimandano ad architetture non complete, non finite.”

A.Anselmi

( Guccione M., 2004, intervista a Alessandro Aanselmi, Roma)

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Alessandro Anselmi, Nuovo cimitero di Parabita, 1967, modello e schizzo

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Alessandro Anselmi, Asilo nido di S.Severina, 1981,
Inchiostro su carta da lucido. Collezione permanente della A.A.M. Architettura Arte Moderna di Francesco Moschini e Gabriel Vaduva.

Nel 2003 finalmente il completamento del Municipio di Fiumicino, nel quale l’archetipo della piazza, emerge dalle pieghe del piano. Dalle tracce della città portuale, si solleva gradualmente un piano, che diventa prima elemento di aggregazione, quindi nuova piazza cittadina, per poi innalzarsi e diventare facciata e ancora copertura. L’edificio è quindi generato da un piano che prende forma dalla città e che piegandosi ne identifica gli spazi. Alla città viene restituito un vuoto urbano, che è a stretto contatto con la banchina del porto, quasi a voler recuperare quel rapporto tra commercio marittimo e terra ferma che ormai è solo un lontano ricordo. Sembra che i modelli dai quali attinge ispirazione, siano sempre più chiari, essenziali. Mentre nel cimitero di Parabita l’evocazione del capitello proviene da un elemento della storia, nel municipio di Fiumicino, la matrice archetipale è la piazza, quindi la forma si trasforma in concetto. Ogni matrice però, che sia piazza o capitello, ha in se dei temi attraverso i quali si declina, quelli cioè, che potremmo definire Archetipi Anselmiani, forme primitive di pensiero, attraverso le quali ogni progetto assume dimensione. Riconosciamo quindi la Piega, intesa come piano e superficie; il Vuoto, esplorato come dimensione interna ed esterna; lo Spazio Prospettico; il Recinto ed il Frammento. Ognuno di questi ambiti, fu indagato nella mostra che si tenne al Maxxi nel 2004: “Alessandro Anselmi. Piano superficie progetto” 1. In ogni opera, Anselmi, pare voglia porsi come tramite tra il luogo e la nova costruzione, in un continuo dialogo tra la sua storia e le nuove modificazioni sociali. Non nasconde il misticismo delle sue architetture ad occhio comune, anzi lo dichiara tramite la forma, come nella chiesa di S. Pio a Malafede (Roma, 2010), dove la facciata principale composta da tre archi, si fonde nell’arco unico della facciata posteriore, tramite la copertura. L’archetipo di Dio, diventa architettura.

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Alessandro Anselmi, Chiesa di S. Pio, 2007,
Tecnica mista su carta

 
1La mostra che si tenne a Roma nel 2004, dal titolo “Alessandro Anselmi. Piano superficie progetto”, negli spazi del Maxxi, documentava le opere di A. Anselmi partendo dal 1976 sino al 2004. L’allestimento fu curato dallo stesso autore ed il percorso, partendo al ritroso, trattava i temi della sua ricerca spaziale, articolandosi in quattro sezioni: Lo spazio prospettico; Recinto e frammenti; La scena urbana; Piano e superficie.

Bibliografia e Sitografia

Antonino Saggio, 2010, Architettura e Modernità. Dal Bauhaus alla Rivoluzione Informatica, Roma, Carocci;

www.fondazionemaxxi.it/sezioni_web/interviste/ANSELMI.htm

www.domusweb.it/it/from-the-archive/alessandro-anselmi-architetture-di-frontiera

http://segnidel9cento.chiesacattolica.it/html/m_popup_scheda_main.asp?CategoryID=5&Year=2012&ID=36&tipo=architettura&IDscheda

http://www.architetturadipietra.it/

http://www.aamgalleria.it/cfm-collezione.php?id=508-Alessandro-Anselmi-G.R.A.U.-

“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”

Credo che l’aforisma di Antoine Lavoisier incarni perfettamente parte della filosofia di Alessandro Anselmi, l’importanza del contesto urbano storico e la freschezza di una nuova gestualità si fondono perfettamente nella figura dell’architetto, che è presenza fondamentale nella ricerca del rapporto tra architettura e spazio pubblico.

E’ una linea di indagine che proviene dalla continuità con la città e che trae forza dalla storia del luogo che ospiterà la nuova architettura. Le prime sperimentazioni avvengono tramite il gruppo G.R.A.U (Gruppo Romano Architetti Urbanisti) di cui è membro fondatore, e che porterà avanti anche nel lavoro personale.

Per le tendenze dei primi anni ’80, sembra che l’azione dell’architetto sia quella di medium, cioè un tramite tra gli aspetti di memoria del luogo, combinati con quelli dimensionali degli spazi già costruiti e la necessità di nuove costruzioni. Potrebbe sembrare un processo rassegnato alle preesistenze, volto alla trasformazione di un segno che in realtà esiste già da prima, come un pensiero nascosto che diventa verbo. Un’interpretazione insomma.

Ma cosa c’è di nuovo in quella che dovrebbe essere una nuova azione?  

C’è la creazione di un nuovo paesaggio, che coesiste e che modifica quello precedente. Ma non è soltanto un’addizione, ma l’esaltazione di quell’essenza che aleggiava nell’aria, la concretizzazione di un pensiero. Tutto avviene dall’analisi della stratificazione urbana… stratificazione dovuta al costruito, a quello che è stato lasciato vuoto, alle esigenze ed alle funzioni.

Nulla è imposto, perchè l’architettura di Anselmi nasce dagli archetipi, da quegli elementi che resistendo al tempo, tramandano concetti sempre attuali e che ormai sono diventati logos.        Se il suolo è un luogo di informazioni, allora il movimento di questo, all’interno dello spazio tridimensionale, darà concretezza ai nuovi spazi, diventerà materia di informazione, tramite la sua modificazione in pieni e vuoti. Nelle architetture di Anselmi, il pieno e il vuoto derivanti dalla città, si innalzano dal suolo come modificazione della crosta terrestre, ridisegnando un paesaggio nuovo, ma che in realtà esisteva già nella conformazione del vuoto stesso, che dopo l’azione progettuale diventa denso di significati, diventa piazza, come nel Municipio di Fiumicino, diventa scala come nel progetto delle case temporanee a Monte Testaccio e che deriva dal paesaggio, o maglio dalla scena circostante, nella quale entra, di nuovo, a far parte.

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A.Anselmi, Case al Testaccio, Roma;  Municipio di Fiumicino, Roma

La sua è sempre un’architettura complessa-dinamica, che spesso definisce contemporaneamente spazi interni ed esterni, il caso di Fiumicino ne è l’emblema. Il progetto è l’ideale prosecuzione della banchina lungo il canale Clementino. Dal suolo parte la piazza, che si conforma prima come piano continuo leggermente inclinato, per poi innalzarsi repentinamente in una gradonata, diventando facciata. L’edificio è quindi generato da una piano che prende forma dalla città e che piegandosi ne identifica gli spazi.

Mediante la piega, il piano assume una duplice funzione, diventa al contempo piazza e tetto dell’edificio, dando valore al vuoto che diventa il tramite tra l’esterno e l’interno. Infatti il vuoto è metodologicamente centrale in Anselmi, poiché la sua architettura nasce dalla costruzione dello spazio vuoto, nel senso che l’edificio non è solo il risultato di uno spazio interno, ma tramite la modellazione del costruito si definisce anche il vuoto medesimo. E’ un approccio di tipo urbano, è la città che è fatta di vuoti e che modella gli edifici che sono i pieni.

Il senso di duplicità non esiste solo nelle pieghe del piano, ma anche nel senso di astrazione tra forma e matericità data dalla scelta dei materiali. Quelli più tecnologici determinano i volumi del lavoro, mentre quelli più tradizionali rivestono la piazza e la parete esterna dell’edificio. C’è una stretta identità tra struttura e forma che in questo progetto emerge fortemente, forse dettata dagli echi dell’architettura di Louis Kahn.

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L.Kahn, Parlamento, Bangladesch;  A.Anselmi, Casa a Morlupo, Italia, Collezione permanente della A.A.M. Architettura Arte Moderna di Francesco Moschini e Gabriel Vaduva.

Il suo insegnamento può essere declinato in due tipologie che in fondo convergono, architetture come piani e pieghe: che partendo dal suolo diventano scena e che contengono nuova informazione. E’ una piega che definisce un’esistenza ogni volta che crea un nuovo angolo, ogni volta che assume una nuova modificazione (come teorizza Deleuze), e che si pulisce col passare del tempo sino a diventare spazio che definisce volumi, creando nuovi luoghi di incontro aperti al cielo, in un continuo susseguirsi di pieni e vuoti come in un gioco di sezioni. Oppure sono archetipi, di una terra che già in se conteneva quelle forme, come nella pianta del cimitero di Parabita, luoghi che furono la Magna Grecia e che quei capitelli conoscono bene. Questo progetto è come un solco sul terreno, un disegno in estrusione, è come un tatuaggio fatto per ricordare o tenere sempre presente alla mente, qualcosa di importante. La stessa funzione che assume il cimitero, se ci pensiamo: il ricordo. E’ un’architettura fatta di azioni che definiscono degli spazi intimi, articolati, fatti di una materia che anch’essa porta memoria perchè calcarea, frutto della gestazione della terra e della stratificazione del tempo.

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A.Anselmi, Cimitero di Parabita, Lecce

Altre volte possiamo riconoscere un misticismo non proprio celato nelle opere di Anselmi, dichiarato dai tre archi che disegnano la facciata principale della chiesa di S. Pio a Malafede, e che unendosi nella copertura, si fondono in un arco unico diventando sfondo dell’altare maggiore, inondato di luce tramite l’ampia facciata vetrata.

Video intervesta ad Anselmi sulla chiesa di San Pio

C’è una grande capacità in Anselmi di conferire agli spazzi quella drammaticità propria della metafisica. Il gioco dei volumi, progettati con precisione geometrica, viene enfatizzato dalle ombre nette e da una luce indagatrice, che definisce il nuovo spazio tra i volumi. L’approccio di tipo urbano viene esplorato a fondo, e una volta compreso il suo significato intrinseco, Anselmi ne propone una personale restituzione, progettando pieni e vuoti densi di tensione emotiva.

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A.Anselmi, Cimitero comunale, Altilia S.Severina (CZ); Disegno senza titolo. Entrambi i disegni provengono dalla collezione permanente della A.A.M. Architettura Arte Moderna di Francesco Moschini e Gabriel Vaduva.;  Disegno senza titolo

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G. De Chirico, dalla serie di “Piazze d’Italia”

The ABC of Architects